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martedì 3 marzo 2009

Un libro da non perdere e una donna vera da conoscere.


"UN CAPPELLO PIENO DI CILIEGE", il romanzo postumo della compianta ORIANA FALLACI, la storia della sua famiglia, una vera e propria saga che ha inizio nell'Italia in piena età rivoluzionaria, con Napoleone, Mazzini, Garibaldi e si snoda attraverso personaggi indomiti, uomini e donne di carattere.
L'opera è quanto la stessa autrice nel 2006, essendo ormai ben consapevole della progressione della sua malattia, ha lasciato al nipote, con precise indicazioni per la pubblicazione.
QUESTO E' L'INIZIO DEL ROMANZO....
"Ora che il futuro s’era fatto corto e mi sfuggiva di mano con l’inesorabilità della sabbia che cola dentro una clessidra, mi capitava spesso di pensare al passato della mia esistenza: cercare lì le risposte con le quali sarebbe giusto morire. Perché fossi nata, perché fossi vissuta, e chi o che cosa avesse plasmato il mosaico di persone che da un lontano giorno d’estate costituiva il mio Io. Naturalmente sapevo bene che la domanda perché-sono-nato se l’eran già posta miliardi di esseri umani ed invano, che la sua risposta apparteneva all’enigma chiamato Vita, che per fingere di trovarla avrei dovuto ricorrere all’idea di Dio. Espediente mai capito e mai accettato. Però non meno bene sapevo che le altre si nascondevano nella memoria di quel passato, negli eventi e nelle creature che avevano accompagnato il ciclo della formazione, e in un ossessivo viaggio all’indietro lo disotterravo: riesumavo i suoni e le immagini della mia prima adolescenza, della mia infanzia, del mio ingresso nel mondo. Una prima adolescenza di cui ricordavo tutto: la guerra, la paura, la fame, lo strazio, l’orgoglio di combattere il nemico a fianco degli adulti, e le ferite inguaribili che n’erano derivate. Un’infanzia di cui ricordavo molto: i silenzi, gli eccessi di disciplina, le privazioni, le peripezie d’una famiglia indomabile e impegnata nella lotta al tiranno, quindi l’assenza d’allegria e la mancanza di spensieratezza. Un ingresso nel mondo del quale mi sembrava di ricordare ogni dettaglio: la luce abbagliante che di colpo si sostituiva al buio, la fatica di respirare nell’aria, la sorpresa di non star più sola nel mio sacco d’acqua e condivider lo spazio con una folla sconosciuta. Nonché la significativa avventura di venir battezzata ai piedi d’un affresco dove, con uno spasmo di dolore sul volto e una foglia di fico sul ventre, un uomo nudo e una donna nuda lasciavano un bel giardino pieno di mele: la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre, dipinta da Masaccio per la Chiesa del Carmine a Firenze. Riesumavo in ugual modo i suoni e le immagini dei miei genitori, da anni sepolti sotto un’aiola profumata di rose. Li incontravo ovunque. Non da vecchi cioè quando li consideravo più figli che genitori, sicché a sollevare mio padre per posarlo su una poltrona e a sentirlo così lieve e rimpicciolito e indifeso, a guardarne la testolina tenera e calva che si appoggiava fiduciosamente al mio collo, mi pareva di tenere in braccio il mio bambino ottuagenario. Da giovani. Quando eran loro a sollevarmi e a tenermi in braccio. Forti, belli, spavaldi. E per qualche tempo credetti d’avere in pugno una chiave che apriva qualsiasi porta. Ma poi m’accorsi che ne apriva alcune e basta: né il ricordo della prima adolescenza e dell’infanzia e dell’ingresso nel mondo né gli incontri coi due giovani forti e belli e spavaldi potevan fornire tutte le risposte di cui avevo bisogno. Superando i confini di quel passato andai in cerca degli eventi e delle creature che lo avevano preceduto, e fu come scoperchiare una scatola che contiene un’altra scatola che ne contiene un’altra ancora all’infinito. E il viaggio all’indietro perse ogni freno..."

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