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martedì 24 novembre 2009

La giustizia.


«Sta lavorando a un quadro?». «Sì», disse il pittore buttando sul letto, appresso alla lettera, la camicia che ricopriva il cavalletto. «È un ritratto. Un bel lavoro, ma non ancora del tutto finito». Fu una fortunata coincidenza, l'opportunità di parlare del tribunale venne addirittura offerta a K., perché era palesemente il ritratto di un giudice. Colpiva, anzi, la somiglianza con il ritratto nello studio dell'avvocato. Qui era rappresentato un giudice del tutto diverso, è vero, un uomo grosso, con una gran barba folta e nera, che di lato arrivava su a coprire le guance, inoltre quello era dipinto a olio, mentre questo a pastelli, con mano debole e incerta. Ma tutto il resto era simile, anche qui infatti il giudice era in procinto di alzarsi minaccioso dal suo trono, di cui stringeva i braccioli. «È proprio un giudice», stava subito per dire K., ma per il momento si trattenne e si avvicinò al quadro quasi volesse studiarlo nei particolari. Non riuscì a spiegarsi una grande figura campata a metà dello schienale del trono e chiese chiarimento al pittore. Le mancava ancora qualche ritocco, si decise a rispondere il pittore, prese un pastello dal tavolino e ripassò un poco i contorni della figura, senza renderla con questo più intelligibile a K. «È la Giustizia», disse infine il pittore. «Ah già, ora la riconosco», disse K., «qui c'è la benda intorno agli occhi e qui c'è la bilancia. Ma non ha le ali ai piedi e non sta correndo?». «Eh già», disse il pittore, «ho dovuto dipingerla così su commissione, in realtà è la Giustizia e la Vittoria insieme». «Non è un'unione riuscita», disse K. sorridendo, «la Giustizia deve stare ferma, altrimenti la bilancia dondola, e non può esserci una sentenza giusta». «Sto alle richieste del mio committente», disse il pittore. «Certo, certo», disse K., che con la sua osservazione non aveva avuto intenzione di offendere nessuno. «Lei ha dipinto la figura come realmente sta sul trono». «No», disse il pittore, «non ho mai visto né la figura né il trono, è tutta un'invenzione, ma ho avuto precise indicazioni su quello che dovevo dipingere». «Come?», chiese K. apposta, come se non capisse bene il pittore, «non è un giudice quello seduto sul seggio?». «Sì», disse il pittore, «ma non è un giudice di alto grado e non è mai stato seduto su un trono così». «Eppure si fa dipingere in un atteggiamento così solenne? Lo si direbbe un presidente di tribunale». «Già, sono dei vanitosi quei signori», disse il pittore. «Ma sono autorizzati dai loro superiori a farsi ritrarre così. A ognuno viene esattamente prescritto come può farsi ritrarre. Solo che, purtroppo, da questo quadro non si possono giudicare i particolari della veste e del seggio, i pastelli non sono adatti per questi soggetti». «Sì», disse K., «è strano che sia dipinto a pastelli». «Così ha voluto il giudice», disse il pittore, «è destinato a una signora».

venerdì 20 novembre 2009

Il personaggio della settimana


                         Il dottor Azzeccagarbugli.
 E' possibile notare l'avvocato dell'iniquità e del vizio, chiamato dai popolani come il dottor Azzeccagarbugli, un nomignolo ben affibbiato che ci dimostra l'indole spregevole dell'individuo.
E' in effetti, una figura caratteristica, propria del suo tempo, quando la legalità era schiava della prepotenza e del delitto, dei nobili e dei signorotti. Le "gride" erano tante e tutte comminavano pene severissime, per qualsiasi infrazione.
Alto, asciutto, pelato, col naso rosso ed una voglia di lampone sul viso, simbolo del suo ripugnante vizio del bere, indossa una toga che funge da veste da camera. Egli è un uomo servile, corrotto, ipocrita, "è la mente che serve di potere" a don Rodrigo e ai suoi bravi, l'uomo di legge, ossequioso coi potenti ed alimentatore dei loro soprusi e delitti, calpesta i suoi doveri di professionista per uccidere la giustizia e la verità, reclamate dalla legge e dalla coscienza umana.
Azzeccagarbugli desta ilarità e riprovazione per il suo opportunismo tra le pareti ampie del suo grande studio. Il suo studio,infatti, è una cornice degna del decadimento fisico e morale del personaggio: è uno stanzone, su tre pareti del quale sono appesi i ritratti dei dodici Cesari, tutti rappresentanti del potere assoluto, considerato sacro e inviolabile nel '600; sulla quarta parete è appoggiato un grande scaffale di libri vecchi e polverosi; nel mezzo c’è una tavola gremita di carte alla rinfusa, con tre o quattro seggiole all'intorno, e da una parte un seggiolone a braccioli piuttosto malandato.
Egli viene ritratto in particolar modo nel terzo capitolo, mentre discute con Renzo. Poiché ha capito che quest’ultimo, nel raccontargli la sua disavventura matrimoniale, è uno di quei bravacci avvezzi a minacciare i curati, l’ avvocato decaduto tenta di adoperarsi come può a difendere il nuovo cliente. Ma quando apprende la verità, cioè che il prepotente è don Rodrigo, il dottor Azzeccagarbugli s'infuria contro il povero Renzo, e, aggrottando le ciglia e gridando, lo mette alla porta immediatamente, dopo essersi simbolicamente lavato le mani, come un Pilato sicuro di protezione dall'alto. Nei pranzi e nelle feste di don Rodrigo,infatti, lui più florido del solito, brinda e gozzoviglia come un parassita senza scrupoli, caduto nella più ignobile bassezza morale, spesso petulante e ridicola.

Quest'avvocato ha una sua psicologia di pavidità malvagia che, in un certo qual modo, si accosta ad un altro personaggio del romanzo: don Abbondio. Colpito dall'inesorabile male della peste muore e, dopo un breve elogio funebre di derisione e di scherno, si viene a conoscenza che è seppellito in una povera fossa comune, senza onori e privilegi. I nemici della giustizia e del popolo vengono puniti da Dio sempre in questo modo.

giovedì 19 novembre 2009

Come fanno


 "Tutti presi per il collo", vi lasciamo il tempo di leggere, di pensare e di liberarvi per poco dai lacci del tempo che stringe....

Ma come -
come dicono di vivere -
come dicono di vivere qui così ? -
come fanno non si può capire -
per esempio anche di notte -
nel loro tenore di vita in tutto e per tutto -
che la vita è bella dicono - bisogna dirlo -
anche senza capirlo - attento a come parli -
che magari non ti prendano - per esempio -
per un guastafeste - capito? - o peggio -
e la squadra di calcio? - forza qui e forza là -
e la patria da salvare - da chi? -
da quelli che migrano come uccelli -
che vengono da lontano e non sono in regola -
ma come dicono di vivere qui così?
nelle case - nelle loro case - chiusi -
chiusi col tenore di vita - non si può capire -
chiusi col tenore di vita e il telefono -
e quelli là non li vogliamo - dicono al telefono -
quelli che migrano come uccelli che vadano -
vadano da un'altra parte - dicono loro -
noi siamo nel giusto e qui non c'è posto -
noi siamo nel giusto perché ci siamo fatti da soli -
noi abbiamo la nostra bella patria - dicono così -
abbiamo la nostra patria con il tenore di vita -
e quelli là che migrano vadano da un'altra parte -
così parlano - per esempio anche di notte -
nelle case - nelle loro case - chiusi -
chiusi col tenore di vita - non si può capire -
ma come fanno - già - le facce a tenerle così serie?
poniamo tra moglie e marito - per esempio-
come fanno con le facce - non si può capire -
come fanno a tenerle così serie nel niente del
[niente -
tra moglie e marito- anche tra altri - con figli e amanti -
attenti a non farsi beccare in fallo - sul negativo -
sul depressivo - perché non c'è tempo per quello -
già - il tempo stringe molto nel niente di niente -
e si deprimono a sentir parlare in modo
[dispersivo -
non costruttivo - sul niente di niente che viene
[avanti -
col tempo che stringe - tutti presi per il collo -
che stringe - come -
come dicono di vivere -
che bisogna vivere così

venerdì 13 novembre 2009

Semu troppu raccumannati ...........

............semu troppu raccumannati non'ni ponnu fari nenti
sbaviamu da matina a sira a li politici putenti
ancora n'lanu caputu
ca nuatri semu chi'ù forti picchi alliccamu?
Raccumannatu é sempri assicuratu
vaiu  a travagghiari pi inchiri a jurnata e la sacchetta
n'on mi i'nteressa di cui voli cangiari sta bella facenna
liccari e la me vita nun pozzu rinunciari
u votu c'hu dugnu a cu mi duna u torna cuntu
sta lamentazioni c'ha fazzu a chiddi
c'à ancora pritennunu di travagghiari
pi mezzu di l'articulu unu di la costituzioni,
babbi ma chi c'ha'spittati viniti all'assimblea di li raccumannati
a manna v'arriva macari c'alliccati
chi v'interessa di la ligalità,l'onestà
ormai n'ama abituari a cancillali sti paroli ca creiunu difficcortà

a facilità e a filicità
lassatiili iri chiddi ca v'untuunu e falconi e i borsellini
nun'viditi chi fini ci ficimu fari?

giovedì 12 novembre 2009

L'APE INDUSTRIOSA....


Nel frattempo Lucilla sta cospirando alle spalle dell'imperatore con alcuni membri del senato,e cerca aiuto in Massimo, l'unico uomo che abbia osato ribellarsi al fratello imperatore Commodo .
Nel frattempo Commodo intuisce da una frase del nipotino Lucio Vero che la sorella sta cospirando contro di lui, e quando lei torna si fa trovare col nipote, mentre gli racconta la storia di Claudio, l'imperatore tradito dalle persone a lui più care.
"Se sarai molto buono domani sera ti racconterò la storia dell'imperatore Claudio.
Egli fu tradito, da coloro che gli erano più vicini. Dal suo stesso sangue.
Bisbigliavano negli angoli bui e uscivano a notte fonda. E cospiravano e cospiravano.
Ma l'imperatore Claudio sapeva che stavano tramando. Egli sapeva che erano come piccole api industriose. Una sera si sedette accanto a una di loro la guardò negli occhi e le disse:
"Raccontami che cosa stai combinando piccola ape affaccendata, o abbatterò coloro a te più cari e tu mi vedrai fare il bagno nel loro sangue".
E l'imperatore aveva il cuore spezzato. La piccola ape lo aveva ferito più profondamente di quanto potesse fare chiunque altro e la piccola ape gli raccontò tutto.
Lucilla tenta di liberare Massimo perché guidi una rivolta contro Commodo,soldati a lui fedeli lo attendono già a Ostia, alle porte di Roma.
Commodo però venuto a conoscenza del complotto, fa uccidere tutti i gladiatori e cattura Massimo.
Il popolo ormai adora Massimo, e farlo uccidere sarebbe alquanto impopolare, decide quindi di affrontarlo e sconfiggerlo nell'arena davanti al popolo di Roma.

venerdì 6 novembre 2009

Tempo Reale


Paese di terra terra di cani
Paese di terra e di polvere

Paese di pecore e pescecani

E fuoco sotto la cenere

Dentro le stanze del Potere l'Autorità

va a tavola con l'anarchia

Mentre il ritratto della Verità si sta squagliando

e la vernice va via

E il Pubblico spera che tutto ritorni com'era

che sia solo un fatto di tecnologia

E sotto gli occhi della Fraternità

la Libertà con un chiodo tortura la Democrazia


Paese di terra terra di fumo

paese di figli di donne di strada

E dove se rubi non muore nessuno

E dove il crimine paga

C'è un segno di gesso per terra

e la gente che sta a guardare

Qualcuno che accusa qualcuno

Però lo ha visto solamente passare


E nessuno ricorda la faccia del boia


è un ricordo spiacevole

E resta soltanto quel segno di gesso per terra

Però non c'è nessun colpevole
Paese di zucchero, terra di miele

Paese di terra di acqua e di grano

Paese di crescita in tempo reale

E piani urbanistici sotto al vulcano

Paese di ricchi e di esuberi

e tasse pagate dai poveri

E pane che cresce sugli alberi

e macchine in fila nel sole

Paese di banche, di treni di aerei di navi

che esplodono

Ancora in cerca d'autore

Paese di uomini tutti d'un pezzo

tutti hanno un prezzo
e niente c'ha valore
Paese di terra terra di sale

e valle senza più lacrime

Giardino d'Europa, stella e stivale

Papaveri e vipere e papere

dov'è finita la tua dolcezza famosa tanto tempo fa

E' chiusa a chiave dentro la tristezza

dei buchi neri delle tue città

Chissà se davvero esisteva una volta o se era una favola


o se tornerà

E però se potessi rinascere ancora


Preferirei non rinascere qua